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martedì 8 ottobre 2013

L'intervento chirurgico

Sono entrato all'ospedale nel primo pomeriggio. Pioveva, la primavera non era ancora esplosa e faceva freddo. Appena entrato in reparto, mi hanno prelevato il sangue e fatto attendere in una piccola sala. Le pareti giallognole riflettevano la luce dei neon. Dalla porta intravedevo un continuo passaggio di infermiere. Ero nervoso. Un infermiere s'è affacciato alla porta e m'ha detto: 'mi segua'.

Abbiamo percorso in silenzio il lungo corridoio. Io camminando dietro all'operatore contavo i neon che sorpassavamo. L'operatore è entrato in una stanza e mi ha fatto cenno di seguirlo. Sono entrato e l'operatore mi chiesto di spogliarmi e stendermi su un lettino imbottito. Di fianco avevo un carrello coperto da un lenzuolo e uno sgabello. In quel momento è entrato un secondo infermiere e un dottore.


Il dottor Lupo mi ha fatto alcune domande, mentre gli infermieri mi hanno rasato tutto il braccio sinistro. Ho chiesto se avrei sofferto. Mi hanno risposto di no e hanno iniziato a farmi una serie di iniezioni al braccio. Hanno steso un lenzuolo per non farmi vedere più il braccio. Le iniezioni di anestetico hanno iniziato a fare effetto. Il dottore mi ha detto: 'iniziamo'. Non ho risposto, ma ho sentito la lama del bisturi che entrava nel braccio. Era come se un coltello tagliasse un foglio di cartone.

Il dottor Lupo ha iniziato ad estrarre la mia arteria radiale per poi metterla in comunicazione con la vena cefalica. Ha deviato il flusso arterioso in un vaso venoso e poter utilizzare la vena per l'attacco alaa macchina per la dialisi. Questa pratica è stata inventata negli Anni Sessanta del Secolo scorso e tutt'ora utilizzata per creare una fistola che sappia convogliare un flusso arterioso importante nella vena cefalica.

Dopo un'ora ero già in strada ad aspettare Veronica per tornare a casa.


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